Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
I motivi per i quali le parole di libertà proclamate da Moshè non sono ascoltate dai Bnè Israel sono definiti in Esodo 6, 9 come “duro lavoro e respiro corto”: “E disse Moshè così ai benè Israel, ma essi non lo ascoltarono a causa del duro lavoro (avodà kashà) ed il respiro corto (kotzer ruach).”
Nelle note in ladino dell’edizione del Chumash di Pisa del 1771 così è commentato il senso del kotzer ruach: “Cortidad de espirito”.
Rambam interviene immediatamente con il suo commento e ci assicura che i Bné Israel non mancavano di fede, ma non riuscivano ad ascoltare le parole di Moshè e la speranza di libertà perché erano schiacciati dal peso della loro realtà di schiavitù, vivevano nella paura, con il respiro corto di quello che sarebbe potuto loro accadere in schiavitù: erano schiavi nella realtà, ma anche schiavi della loro percezione della realtà. In altre parole avevano perso la capacità di guardare oltre la loro disperazione.
Or HaChaim, Rabbi Chaim ben Attar, coglie il senso di questa disperazione reale ed identitaria e lo porta ad un livello diverso. I benè Israel avevano un respiro identitario corto perché avevano perso il loro legame con la Torà, con la fonte della nostra storia e della nostra identità spirituale e quotidiana. La Torà amplia il cuore dell’uomo afferma l’Or HaChaim ed i benè Israel avendo perso il proprio legame quotidiano con la Torà, avevano perso la capacità di avere un cuore ampio oltre gli stretti confini della schiavitù.
Sforno aggiunge che i Bné Israel non riuscivano a porre il loro cuore nella giusta prospettiva per osservare la realtà dei fatti.
I confini dell’angoscia, dell’abitudine agli spazi stretti, che siano reali o che siano culturali o che siano immaginari, tolgono all’uomo la capacità di analisi e di giusto pensiero sulla realtà che sta vivendo. I sospiri bloccano, in un certo qual modo, la capacità di osservazione delle cose, la loro profonda comprensione, la giusta misura delle proprie capacità e dei limiti dell’angoscia che si vive in quel determinato momento.
A livello collettivo una situazione di questo tipo blocca ogni azione collettiva, ogni possibilità di una presa di coscienza che porti ad un giusto agire e liberi il gruppo umano dal “respiro corto” e lo faccia andare avanti, lo porti ad un cambiamento, gli faccia vivere un nuovo orizzonte oltre le ristrettezze di quello che loro considerano un momento eterno, immutabile, mentre in realtà è solo un momento passeggero. Ma chi vive con i ritmi di una “cortidad de espirito” ha bisogno di una guida che gli insegni un nuovo ritmo di respiro, ha bisogno di un nuovo percorso di vita, ha bisogno di “miracoli”, cioè di una natura che sveli la presenza di Dio al di là di un mondo che crediamo immutabile, ma che invece può mutare se mutano gli occhi, il cuore e lo spirito di chi in esso vive e lo osserva.
Di Rav Pinhas Punturello