Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
La parashà di Vaera inizia con alcune parole fatidiche. Non sarebbe eccessivo dire che hanno cambiato il corso della storia, perché hanno cambiato il modo di pensare la storia. Anzi, hanno dato vita all’idea stessa di storia. Ascoltate le parole: Dio disse a Mosè: “Io sono Hashem. Sono apparso ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe come E-l Shaddai, ma con il mio nome “Hashem” non mi sono fatto conoscere pienamente da loro”. (Esodo 6:2-3)
Cosa significa esattamente questo? Come sottolinea Rashi, non significa che Abramo, Isacco e Giacobbe, Sara, Rebecca, Rachel e Leah non abbiano conosciuto Dio con il nome di Hashem. Al contrario, le prime parole di Dio ad Abramo, “Lascia la tua terra, il tuo luogo di nascita e la casa di tuo padre”, sono state pronunciate usando il nome di Hashem.
Si legge persino, pochi versetti dopo (Genesi 12:7), Vayera Hashem el Avram: “Hashem apparve ad Abramo e disse: “Alla tua discendenza darò questa terra”. Quindi Dio era apparso ad Avram come Hashem. E nel versetto successivo si dice che Avram costruì un altare e “invocò il nome di Hashem” (Genesi 12:8). Quindi Avram stesso conosceva il nome e lo aveva usato.
Tuttavia, è chiaro da ciò che Dio dice a Mosè che sta per accadere qualcosa di nuovo, una rivelazione divina di un tipo mai accaduto prima, qualcosa che nessuno, nemmeno le persone più vicine a Dio, aveva ancora visto. Di che cosa si tratta? La risposta è che in Bereshit, Dio è il Dio della creazione, il Dio della natura, l’aspetto di Dio che chiamiamo, con sfumature diverse ma con lo stesso senso generale, Elokim, o E-l Shaddai, o anche Koneh shamayim va’aretz, Creatore del cielo e della terra.
Ora, in un certo senso, questo aspetto di Dio era noto a tutti nel mondo antico. Solo che non vedevano la natura come opera di un solo Dio, ma di molti: il dio del sole, il dio della pioggia, le dee del mare e della terra, il vasto pantheon di forze responsabili dei raccolti, della fertilità, delle tempeste, della siccità e così via.
C’erano profonde differenze tra gli dei del politeismo e del mito e l’unico Dio di Abramo, ma operavano, per così dire, nello stesso territorio, nello stesso campo di gioco.
L’aspetto di Dio che appare ai tempi di Mosè e degli israeliti è radicalmente diverso, ed è solo perché siamo così abituati alla storia che facciamo fatica a vedere quanto fosse radicale.
Per la prima volta nella storia, Dio stava per essere coinvolto nella storia, non attraverso disastri naturali come il Diluvio, ma interagendo direttamente con le persone che danno forma alla storia stessa. Dio stava per apparire come la forza che plasma il destino delle nazioni. Stava per fare qualcosa di cui nessuno aveva mai sentito parlare prima: far uscire un’intera nazione dalla schiavitù e dalla servitù, convincerla a seguirlo nel deserto e infine nella Terra Promessa, e lì costruire un nuovo tipo di società, basata non sul potere ma sulla giustizia, sul benessere, sul rispetto per la dignità della persona.
Dio stava per dare inizio a un nuovo tipo di dramma e a un nuovo concetto di tempo. Secondo molti dei più grandi storici del mondo, Arnaldo Momigliano (italiano 1908-1987), Yosef Hayim Yerushalmi (americano 1932-2009), J. H. Plumb (britannico 1911-2001), Eric Voegelin (tedesco 1911- 1985) e l’antropologo Mircea Eliade (rumeno 1907-1986) questo fu il momento in cui nacque la storia.
Fino a quel momento, il dramma umano di base era la lotta per mantenere l’ordine contro le minacce sempre presenti del caos, sia attraverso disastri naturali, sia attraverso conquiste straniere o lotte interne per il potere. Il successo significava mantenere lo status quo. In effetti, la religione nel mondo antico era intensamente conservatrice. Si trattava di insegnare alla gente l’inevitabilità dello status quo. Il tempo era un’arena in cui nulla cambiava fondamentalmente.
E ora Dio appare a Mosè e gli dice che sta per accadere qualcosa di completamente nuovo, qualcosa che i patriarchi conoscevano in teoria, ma che non avevano mai visto in pratica. Una nuova nazione. Un nuovo tipo di fede. Un nuovo tipo di ordine politico. Un nuovo tipo di società. Dio stava per entrare nella storia e avviare l’Occidente su una traiettoria che nessun essere umano aveva mai contemplato prima.
Il tempo non sarebbe più stato semplicemente ciò che Platone ha splendidamente descritto come l’immagine in movimento dell’eternità. Sarebbe diventato il palcoscenico su cui Dio e l’umanità avrebbero viaggiato insieme verso il giorno in cui tutti gli esseri umani – indipendentemente da classe, colore, credo o cultura – avrebbero raggiunto la loro piena dignità come immagine e somiglianza di Dio. La religione stava per diventare non una forza conservatrice, ma una forza evolutiva.
Pensate a questo: molto prima dell’Occidente, i cinesi avevano inventato l’inchiostro, la carta, la stampa, la fabbricazione della porcellana, la bussola, la polvere da sparo e molte altre tecnologie. Ma non sono riusciti a sviluppare una rivoluzione scientifica, una rivoluzione industriale, un’economia di mercato e una società libera. Perché sono arrivati così lontano e poi si sono fermati? Lo storico Christopher Dawson (britannico 1889-1970) ha sostenuto che è stata la religione dell’Occidente a fare la differenza. Sola tra le civiltà del mondo, l’Europa “è stata continuamente scossa e trasformata da un’energia di agitazione spirituale”. Egli attribuisce ciò al fatto che “il suo ideale religioso non è stato il culto di una perfezione senza tempo e senza cambiamenti, ma uno spirito che si sforza di incorporarsi nell’umanità e di cambiare il mondo”
Cambiare il mondo. Questa è la frase chiave. L’idea che – insieme a Dio – possiamo cambiare il mondo, che possiamo fare la storia, non solo esserne fatti, è nata quando Dio disse a Mosè che lui e i suoi contemporanei stavano per vedere un aspetto di Dio che nessuno aveva mai visto prima.
È ancora un momento che mi fa venire i brividi quando, ogni anno, leggiamo Vaera e ricordiamo il momento in cui è nata la storia, il momento in cui Dio è entrato nella storia e ci ha insegnato per sempre che la schiavitù, l’oppressione, l’ingiustizia non sono scritte nel tessuto del cosmo, incise nella condizione umana. Le cose possono essere diverse perché noi possiamo essere diversi, perché Dio ci ha mostrato come fare.
Di Rabbi Jonathan Sacks zzl