Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Lo Shabbat dopo Tisha BeAv si chiama Shabbat Nachamu.
Lo Shabbat dopo Tisha BeAv si chiama Shabbat Nachamu.
Nachamu significa consolazione e prende il nome dall’Haftarah di Isaia 40:1-26 che parla del conforto del popolo.
Contenuti della parashà di Vaetchanan:
– La preghiera di Mosè.
– Raccomandazioni contro l’idolatria.
– Gli effetti della disobbedienza.
– Le città di rifugio.
– I Dieci Comandamenti.
– L’amore verso Dio.
– Rapporti con i popoli pagani e loro pericoli
Nel libro di Devarim la Torah ci mostra la preoccupazione di Moshe ed il suo timore che il popolo abbandoni le Mitzvot una volta entrati in Erez Israel; per questo egli ricorda al popolo tutti i vari passaggi dall’uscita dall’Egitto, gli errori grandi e piccoli che il popolo commise e la grande misericordia di Hashem che ha sempre perdonato tutto anche se, solo nei casi estremi, solo dopo punizioni anche violente.
In questo contesto si inserisce la ripetizione dei 10 comandamenti che troviamo in questa Parashà; il testo riporta naturalmente lo stesso ordine che troviamo nella Parasha’ di Ytrò, ma apporta qualche differenza nel linguaggio.
Questa differenza si manifesta soprattutto in due casi specifici; il primo è relativo al comandamento di osservare lo Shabbat. Nella Parasha’ di Ytrò è scritto ricorda lo Shabbat mentre qui è scritto osserva lo Shabbat (nel senso di non commettere trasgressioni).
Nel primo caso si insiste sulla Mitzvà di fare lo Shabbat come precetto positivo mentre nel secondo (che appunto si inserisce in un ambito più di rimprovero e ammonimento) si specifica il dovere di astenersi dal commettere lavori proibiti.
Lo Shabbat infatti è nello stesso tempo una Mitzvà positiva ed una negativa. I maestri in una Mechilta affermano che, al momento del Matan Torah, Hashem ha pronunciato insieme le parole Zachor=ricorda e Shamor=osserva – come cantiamo tutti i venerdi’ nel Lecha’ Dodi’.
La seconda differenza sta nel fatto che, in questa Parashà, gli ultimi 4 comandamenti sono scritti con una congiunzione e…; questo perché la Torah ci vuole insegnare che la trasgressione di uno di questi divieti porta inevitabilmente alla trasgressione anche dell’altro (Mechilta Derashbì); così, per esempio, il commettere un furto porta inevitabilmente in tribunale e dunque a testimoniare il falso contro il prossimo; lo stesso furto poi è probabilmente dettato dal desiderio di qualcosa che non si può avere e lo stesso desiderio può facilmente condurre all’ad
ulterio.
Moshe ammonisce il popolo affinché entri in Erez Israel consapevole del fatto che vi entra solo per osservare la Torah e le Mitzvot.
Di Davide Cohenca
Di Davide Cohenca
(Foto: Schnorr von Carolsfeld (1860) Digital restoration: gldburger.)