Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
Commentando un verso chiave della Parasha di Vezot Haberacha, un Midrash racconta una storia mirata: una volta Rabbi Yannai stava camminando lungo la strada quando incontrò un uomo vestito elegantemente. Rabbi Yannai gli disse: “Maestro vuole essere mio ospite?” Lui rispose: “Come preferisci”. Yannai lo portò a casa e lo interrogò sulla Bibbia, ma lui non sapeva nulla; sul Talmud, ma non sapeva nulla; sull’Aggadah, ma non sapeva nulla. Alla fine, gli chiese di dire la benedizione del pasto. L’uomo, tuttavia, rispose: “Lascio che Yannai la dica in casa sua”. Yannai poi gli disse: “Puoi ripetere quello che ti dico?” L’uomo rispose: “Sì”. Rabbi Yannai allora disse: Di “Un cane ha mangiato il pane di Yannai'”. L’ospite quindi si alzò e afferrò Rabbi Yannai, chiedendogli: “Dov’è la mia parte di eredità che hai preso e che mi stai nascondendo?” “Quale tua eredità ho?” Egli rispose: I bambini recitano: “Mosè ci ha comandato la Torà, un’eredità della congregazione di Giacobbe” (Deuteronomio 33:4). Non è scritto “congregazione di Yannai”, ma “congregazione di Giacobbe”. (Levitico Rabbah)
È una storia potente. Rabbi Yannai vide uno sconosciuto vestito elegantemente e presunse che fosse ben istruito. Lo portò a casa e scoprì che l’uomo non aveva avuto alcuna educazione ebraica. Non sapeva nulla di letteratura rabbinica. Non poteva nemmeno dire la benedizione dopo il pasto.
Rabbi Yannai, uno studioso di Torà, guardò l’ospite con disprezzo. Ma lo straniero, con grande dignità, gli disse in effetti: “La Torà è la mia eredità così come la tua. Poiché tu hai molto e io non ho nulla, condividi con me un po’ di quello che hai. Invece di respingermi, insegnami”.
Poche idee nella storia dell’ebraismo hanno una forza maggiore di questa: l‘idea che la conoscenza della Torà appartiene a tutti; che tutti dovrebbero avere la possibilità di imparare; che l’istruzione dovrebbe essere universale; che tutti dovrebbero essere, se possibile, alfabetizzati nelle leggi, nella storia e nella fede dell’ebraismo; che l’istruzione è la più alta forma di dignità e dovrebbe essere accessibile a tutti.
Questa idea risale a un punto così antico e così profondo nel giudaismo che possiamo facilmente dimenticare quanto sia radicale. La conoscenza – nella frase comunemente attribuita a Sir Francis Bacon (filosofo inglese 1561-1626) – è potere. Coloro che ce l’hanno sono solitamente riluttanti a condividerlo con gli altri. La maggior parte delle società hanno avuto delle élite alfabetizzate che controllavano l’amministrazione del governo. Ancora oggi molte professioni utilizzano un vocabolario tecnico comprensibile solo agli addetti ai lavori, in modo che la loro conoscenza sia impenetrabile agli estranei. (Vedi Amos Funkenstein e Adin Steinsaltz, The Sociology of Ignorance [ebraico] (Tel Aviv: Ministero della Difesa, 1988).
Il giudaismo è, profondamente, diverso. Ho ipotizzato che ciò sia connesso al fatto che la nascita del giudaismo avvenne all’incirca nello stesso periodo della nascita dell’alfabeto protosemitico, apparso nell’età dei patriarchi, e le cui prime tracce sono state scoperte nel deserto del Sinai nelle zone dove lavoravano gli schiavi. L’alfabeto, con i suoi soli ventidue simboli, per la prima volta aprì la possibilità di una società di alfabetizzazione universale. L’ebraismo, come abbiamo visto prima, porta ovunque il segno di ciò. Abramo fu scelto per essere un insegnante: “Poiché l’ho scelto affinché istruisca i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui per seguire la via del Signore”. (Genesi 18:19)
Mosè parla ripetutamente dell’educazione: “Insegnateli ai vostri figli, parlandone quando sedete a casa e quando siete in viaggio, quando vi coricate e quando vi alzate”. (Deuteronomio 11:19) Poi c’è soprattutto l’esempio personale di Mosè stesso. In un momento critico, quando Eldad e Medad profetizzavano nell’accampamento e Giosuè sentì che l’autorità di Mosè veniva messa in discussione, Mosè rispose: “Vuoi tu essere geloso al mio posto? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e che Lui possa mettere su di loro il suo Spirito!». (Numeri 11:29). Mosè desiderava che tutti condividessero il suo accesso al Divino.
Inoltre il carattere distintivo della cerimonia di stipulazione dell’alleanza sul Monte Sinai, era nel fatto che si trattava, cosa unica nella storia religiosa dell’umanità, di una rivelazione di Dio non a un profeta o a un’élite, ma all’intero popolo, un punto sottolineato dalla Torà ripetutamente: “Le persone risposero tutte insieme.” (Esodo 19:8) “Poi prese il libro dell’Alleanza e lo lesse al popolo”. (Esodo 24:7)
La cerimonia settennale di rinnovamento dell’alleanza, hak’hel, doveva includere tutti: “Raduna il popolo – uomini, donne e bambini, e gli stranieri che vivono nelle tue città – affinché possano ascoltare e imparare a temere il Signore tuo Dio e seguire attentamente tutte le parole di questa legge” (Deuteronomio 31:12). Non tutti potevano conoscere le leggi e le tradizioni del popolo; ma era quello che dovevano apprendere. Si trattava di una forma innovativa di egualitarismo: non uguaglianza di potere o di ricchezza, ma uguaglianza di accesso all’istruzione.
I discorsi che costituiscono il libro del Deuteronomio furono di per sé la testimonianza di un’esperienza pionieristica di educazione degli adulti in cui il maestro-profeta prese come suoi discepoli l’intero popolo, insegnandogli sia la legge – i comandi, gli statuti, i giudizi – e soprattutto, la storia che si nascondeva dietro la legge. Da qui il prologo della “canzone” di Haazinu: “Mosè recitò le parole di questo cantico dall’inizio alla fine davanti a tutta l’assemblea d’Israele”. (Deuteronomio 31:30)
Da qui, allo stesso modo, il prologo della benedizione di Mosè in Vezot Habracha: “Questa è la benedizione con cui Mosè, l’uomo di Dio, benedisse gli Israeliti prima della sua morte… Mosè ci ha comandato la Torà, eredità della congregazione di Giacobbe” (Deuteronomio 33:1-4). Questo è il versetto citato dall’ospite di Rabbi Yannai come prova che la Torà appartiene a tutti. Non è il possesso dei dotti, degli eletti, di coloro particolarmente dotati, non di una classe o casta. È l’eredità dell’intera congregazione di Giacobbe.
L’impatto di questa radicale democratizzazione della conoscenza può essere visto in modo notevole nel libro dei Giudici. Il contesto è questo: Gedeone (1169 aEV circa) aveva intrapreso una guerra contro i Madianiti. Chiese alla popolazione della città di Succot di dare cibo alle sue truppe. Sono affamati ed esausti. La gente rifiuta. Prima, dissero, vinci la guerra e poi ti daremo da mangiare. Gideon si arrabbiò, ma vinse la guerra. Al suo ritorno, leggiamo: «Prese un giovane di Succot, lo interrogò e il giovane gli scrisse i nomi dei settantasette funzionari di Succot, gli anziani della città» (Giudici 8:14). Il resto della storia non è rilevante qua. Ciò che è straordinario è che, più di tremila anni fa, un leader israelita dava per scontato che un giovane, scelto a caso, sapesse leggere e scrivere! Ciò che più colpisce è che si tratta di un dettaglio incidentale, piuttosto che di qualcosa su cui il narratore desidera attirare l’attenzione.
Non abbiamo, inoltre, dimenticato questa lezione. Nel V secolo aEV, cercando di ripristinare la coerenza in una nazione che aveva subito la sconfitta e l’esilio da parte dei Babilonesi, Esdra convocò il popolo a Gerusalemme, dando loro quello che in sostanza era un seminario di educazione degli adulti sull’alfabetizzazione ebraica: Il primo giorno del settimo mese, il sacerdote Esdra portò la Legge davanti all’assemblea, composta da uomini, donne e da tutti coloro che erano capaci di intendere. La lesse ad alta voce dall’alba fino a mezzogiorno mentre si affacciava sulla piazza davanti alla Porta dell’Acqua alla presenza di uomini, donne e altri che potevano capire. E tutto il popolo ascoltava attentamente il libro della Legge. (Nehemia 8:2–3) Esdra e Nehemia avevano posizionato i Leviti in mezzo alla folla in modo che potessero spiegare a tutti cosa veniva detto e cosa significava (Nehemia 8:8). Ciò andò avanti per molti giorni. Esdra divenne, come Mosè, un esempio di un nuovo tipo di leader, nato nella biblica Israele: l’insegnante come eroe. Alla fine questo divenne la base del giudaismo che sopravvisse alla sfida culturale della Grecia e alla potenza militare di Roma: non il giudaismo dei re, dei sacerdoti, dei palazzi e del tempio, ma il giudaismo della scuola, della sinagoga e della casa di studio. Nel I secolo era in vigore un sistema completo di istruzione universale e obbligatoria, un risultato che il Talmud attribuisce a Yehoshua ben Gamla (Bava Batra 21a), il primo del suo genere al mondo.
Solo nei tempi moderni questa idea di istruzione universale si è diffusa oltre il giudaismo. Non esisteva nemmeno in Inghilterra, allora la principale potenza mondiale, fino all’Education Act del 1870. C’è voluta la rivoluzione di Internet – Google e gli altri canali di comunicazione – per renderlo una realtà in tutto il mondo. Ancora oggi, circa cinquanta milioni di bambini sono privati dell’istruzione, in paesi come Somalia, Eritrea, Haiti, Comore ed Etiopia.
Che l’istruzione sia la chiave della dignità umana, e dovrebbe essere ugualmente disponibile per tutti, è una delle idee più profonde di tutta la storia. È nato da quelle potenti parole di Vezot Habracha: “Mosè ci ha comandato la Torà, un’eredità della congregazione di Giacobbe”.
Di rav Jonathan Sack zzl