Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
C’è una storia avvincente sui Dieci Comandamenti e sul ruolo che hanno avuto nel culto ebraico e nella sinagoga.
Inizia con un fatto poco noto. Un tempo la preghiera che chiamiamo Shemà non era composta da tre paragrafi, ma da quattro. La Mishnah in Tamid (5:1) ci dice che ai tempi del Tempio i sacerdoti officianti recitavano prima i dieci comandamenti e poi i tre paragrafi dello Shemà.
Abbiamo diverse prove indipendenti di questo fatto. La prima consiste in quattro frammenti di papiro acquistati in Egitto nel 1898 dall’allora segretario della Società di Archeologia Biblica, W.L. Nash. Ricomposti e oggi conservati nella Biblioteca universitaria di Cambridge, sono noti come Papiri di Nash. Risalenti al II secolo AEV, contengono una versione dei Dieci Comandamenti, immediatamente seguita dallo Shemà. Quasi certamente il papiro è stato utilizzato per la preghiera in una sinagoga in Egitto prima della nascita del cristianesimo, in un’epoca in cui si usava includere tutti e quattro i paragrafi.
I Tefillin del periodo del Secondo Tempio, scoperti nelle grotte di Qumran insieme ai Rotoli del Mar Morto, contenevano i Dieci Comandamenti. Tuttavia, una lunga sezione del Midrash halachico sul Deuteronomio, il Sifri, è dedicata a dimostrare che non dobbiamo includere i Dieci Comandamenti nei tefillin, il che suggerisce che c’erano alcuni ebrei che lo facevano e i rabbini avevano bisogno di dimostrare che si sbagliavano.
Sia il Talmud babilonese (Bavli, Brachot 12a) che il Talmud di Gerusalemme (Yerushalmi Brachot 1:8) ci testimoniano che ci furono comunità in Israele e in Babilonia che cercarono di introdurre i Dieci Comandamenti nelle preghiere e che i rabbini dovettero emettere una sentenza contraria. Esistono persino prove documentali del fatto che la comunità ebraica di Fostat, vicino al Cairo, teneva nell’Arca un rotolo speciale chiamato Sefer al-Shir, che estraevano dopo la conclusione delle preghiere quotidiane e da cui leggevano i Dieci Comandamenti.
Quindi l‘usanza di includere i Dieci Comandamenti come parte dello Shemà era un tempo diffusa, ma da un certo momento in poi fu sistematicamente osteggiata dai Saggi. Perché si opposero? Sia il Talmud Babilonese che quello di Gerusalemme dicono che fu a causa della “pretesa dei settari”.
I settari ebrei – alcuni li identificano come un gruppo di primi cristiani, ma non ci sono prove convincenti a riguardo – sostenevano che solo i Dieci Comandamenti erano una condizione imprescindibile, perché solo questi erano stati ricevuti dagli israeliti direttamente da Dio sul Monte Sinai. Gli altri erano stati ricevuti attraverso Mosè e questa setta, o forse diverse di esse, sostenevano che non provenissero da Dio. Erano un’invenzione di Mosè e quindi non erano vincolanti.
C’è un Midrash che ci dà un’idea di ciò che dicevano i settari. Mette in bocca a Korach e ai suoi seguaci, che si ribellarono a Mosè, queste parole: “Tutta la comunità è santa. Siete forse voi [Mosè e Aronne] gli unici ad essere santi? Tutti noi siamo stati santificati al Sinai . … e quando sono stati dati i Dieci Comandamenti, non si è parlato di challah o terumah o decime o tzitzit. Avete inventato tutto da soli”. (Yalkut Shimoni Korach 752)
I rabbini si opponevano quindi a qualsiasi usanza che desse particolare risalto ai Dieci Comandamenti, poiché i settari indicavano tali usanze come prova che anche gli ebrei ortodossi li trattavano in modo diverso dagli altri precetti. Eliminandoli dal libro di preghiere, i rabbini speravano di mettere a tacere tali affermazioni.
Ma la storia non finisce qui. I Dieci Comandamenti erano così speciali per gli ebrei che sono tornati in auge. Rabbi Jacob ben Asher, autore del Tur (XIV secolo), suggerì di recitarli in privato. Rabbi Joseph Karo sostiene che il divieto si applica solo alla recitazione dei Dieci Comandamenti pubblicamente durante la funzione, quindi potrebbero essere recitati privatamente dopo la funzione. Oggi li troviamo nella maggior parte dei siddurim, subito dopo la funzione del mattino. Rabbi Shlomo Luria aveva l’abitudine di leggere i Dieci Comandamenti all’inizio della preghiera, prima dei Pesukei de-Zimra, i versi di lode.
La discussione non è finita lì. Dato che non pronunciamo i Dieci Comandamenti durante la preghiera pubblica, dovremmo comunque rendere loro un onore speciale quando li leggiamo dalla Torà, sia a Shavuot che nelle settimane della Parshat Yitrò e Vaetchanan? Dovremmo stare in piedi durante la lettura?
Maimonide si trovò coinvolto in una controversia su questa questione. Qualcuno gli scrisse una lettera in cui raccontava la seguente storia.
Era membro di una sinagoga in cui originariamente si usava stare in piedi durante la lettura dei Dieci Comandamenti. Poi arrivò un rabbino che stabilì il contrario, dicendo che era sbagliato stare in piedi per lo stesso motivo per cui era vietato pronunciare i Dieci Comandamenti durante la preghiera pubblica. Questo poteva essere usato da settari, eretici e altri per affermare che anche gli stessi ebrei ritenevano che i Dieci Comandamenti fossero più importanti degli altri 603 precetti. Così la comunità smise di stare in piedi. Anni dopo arrivò un altro rabbino, questa volta da una comunità in cui l’usanza era quella di alzarsi in piedi per i Dieci Comandamenti. Il nuovo rabbino si alzò e disse alla congregazione di fare altrettanto. Alcuni lo fecero. Altri non lo fecero, dato che il rabbino precedente si era pronunciato contro. Chi aveva ragione?
Maimonide non aveva dubbi. Era il rabbino precedente, quello che aveva detto loro di non alzarsi, ad essere nel giusto. Anche il suo ragionamento era corretto. Esattamente la logica che lo escludeva dalle preghiere quotidiane, doveva essere applicata alla lettura della Torà. Non si dovrebbe dare ad essa un rilievo speciale. La comunità dovrebbe rimanere seduta. Così sentenziò Maimonide, il più grande rabbino del Medioevo. Tuttavia, a volte anche i grandi rabbini hanno difficoltà a convincere le comunità a cambiare le regole. Allora come oggi, la maggior parte delle comunità – anche quelle dell’Egitto di Maimonide – stava in piedi durante la lettura dei Dieci Comandamenti.
Così, nonostante i forti tentativi dei Saggi, al tempo della Mishnah, della Ghemara e poi all’epoca di Maimonide, di vietare qualsiasi usanza che desse una dignità speciale ai Dieci Comandamenti, sia come preghiera che come lettura biblica, gli ebrei continuarono a cercare modi per riconoscergli solennità. Li riportarono nella preghiera quotidiana recitandoli privatamente e al di fuori del servizio obbligatorio, e continuarono a stare in piedi durante la lettura della Torà nonostante la sentenza di Maimonide che lo sconsigliava.
“Lasciate stare Israele”, disse Hillel, “perché anche se non sono profeti, sono comunque figli di profeti”. Gli ebrei comuni avevano una passione per i Dieci Comandamenti. Erano l’essenza distillata dell’ebraismo. Venivano ascoltati dal popolo direttamente dalla bocca di Dio stesso. Erano la base dell’alleanza stipulata con Dio sul Monte Sinai, che li invitava a diventare un regno di sacerdoti e una nazione santa. Per due volte nella Torà sono descritte come l’alleanza stessa: Allora il Signore disse a Mosè: “Scrivi queste parole, perché secondo queste parole ho fatto un’alleanza con te e con Israele”. Mosè rimase con il Signore quaranta giorni e quaranta notti senza mangiare pane né bere acqua. E scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza: i Dieci comandamenti. (Esodo 34:27-28)
Poi il Signore vi parlò dal fuoco. Udiste un suono di parole, ma non vedeste alcuna forma; c’era solo una voce. Vi dichiarò la sua alleanza, i Dieci Comandamenti, che vi comandò di seguire e poi li scrisse su due tavole di pietra. (Deuteronomio 4:12-13)
Ecco perché in origine venivano pronunciati subito prima dello Shemà e perché, nonostante la loro eliminazione dalle preghiere, gli ebrei continuarono a recitarli: perché la loro recita costituiva un rinnovo quotidiano dell’alleanza con Dio. Anche per questo gli ebrei insistevano a stare in piedi durante la lettura della Torà, perché quando veniva data, gli israeliti “stavano ai piedi del monte” (Esodo 19:17). Il Midrash dice a proposito della lettura dei Dieci Comandamenti a Shavuot: “Il Santo, benedetto Egli sia, disse agli Israeliti: Figli miei, leggete ogni anno questo passo e io ve ne renderò conto come se foste davanti al Monte Sinai a ricevere la Torà.” (Pesikta de-Rav Kahana 12, ed. Mandelbaum, p. 204)
Gli ebrei continuarono a cercare il modo di ricreare quella scena, stando in piedi quando li ascoltavano dalla Torà e recitandoli privatamente dopo, alla fine, delle preghiere del mattino. Nonostante sapessero che i loro atti potevano essere fraintesi dagli eretici, erano troppo legati a quella grande epifania – l’unica volta nella storia in cui Dio parlò a un intero popolo – per trattarla come un qualsiasi altro passo della Torà. L’onore dato ai Dieci Comandamenti era un’usanza che si rifiutava di morire.
Redazione Rabbi Jonathan Sacks zzl