di di Rav Alfonso Arbib
C’è un momento di profonda crisi nella storia dei 40 anni trascorsi nel deserto dal popolo ebraico. È la rivolta di Kòrach, una rivolta talmente pericolosa che Moshè chiede un intervento straordinario di Dio che dimostri in modo inequivocabile che Kòrach ha torto.
Ciò che sostiene Kòrach in realtà è molto affascinante e apparentemente molto ebraico. Kòrach dice: “Tutta la comunità sono tutti kedoshìm (santi)” in quanto tutto il popolo ebraico ha ricevuto la Torà sotto il Monte Sinai e quindi nessuno può ritenersi superiore a un altro. Questo porta Kòrach a contestare la leadership di Moshè e Aharon.
Kòrach sembra riprendere quasi letteralmente un versetto di Kedoshìm. Il verso recita: “Siate kedoshìm perché kadòsh sono Io, il Signore vostro Dio”. La kedushà è l’obbiettivo fondamentale del popolo ebraico e si dà al popolo anche un modello di kedushà, il modello più alto – Dio stesso.
Rashì dà un’interpretazione sorprendente alle parole Poiché Io sono santo, Rashì dice: la mia kedushà è più alta della vostra. Che cosa vuol dire Rashì? Sembra un’ovvietà. Secondo Rav Sh. Israeli Rashì ci fornisce qui un insegnamento fondamentale. Nel momento in cui si dà un modello di kedushà si offre un modello volutamente sproporzionato, enormemente più elevato del nostro e sostanzialmente irraggiungibile. Perché?
Perché l’unico modo di progredire è avere obbiettivi alti che ci elevino progressivamente dalla nostra situazione attuale. Paradossalmente per poter essere kedoshìm è assolutamente necessario non essere tutti uguali. Ciò è l’esatto contrario di ciò che dice Kòrach. Kòrach contesta la leadership di Moshè ma in realtà quella leadership è l’unica garanzia di kedushà. Moshè è un modello altissimo a cui gli ebrei possono aspirare e in questo modo migliorare. La kedushà non è un dato di fatto ma un percorso. Nel momento in cui si riceve la Torà sul Sinai non si riceve un diploma di laurea da appendere al muro ma un impegno costante e per attuare quell’impegno abbiamo bisogni di modelli positivi e in alcuni casi anche di modelli irraggiungibili.
La Haftarà che leggiamo lo shabbàt tra Rosh Hashanà e Kippùr comincia con le parole: “Torna Israele fino al Signore tuo Dio”. I Chakhamìm commentano questo verso dicendo: È grande la teshuvà perché arriva fino al Trono celeste.
Forse non ci arriveremo mai ma è fondamentale aspirare ad arrivarci. Il percorso di teshuvà è e deve essere ovviamente graduale. L’uomo non può fare salti ma le aspirazioni devono essere elevate e possono arrivare fino al Trono divino.
Auguro a tutti noi un anno di prosperità, pace e teshuvà cioè l’aspirazione costante a migliorarsi.