Vayechì
14 dicembre 2013 – 11 tevèt 5774
Devar Torà
Nella parashà di Vaychì abbiamo la berakhà di Ya’akòv ai suoi figli. Il primo figlio a ricevere la berakhà è il primogenito Reuvèn. Reuvèn è uno dei tanti primogeniti della Torà che perde la primogenitura. Nella berakhà viene spiegato il motivo e viene detto che la perde perché è “impetuoso come l’acqua”. Il Maharàl di Praga spiega la ragione dell’uso dell’immagine dell’acqua. L’acqua secondo il Maharàl rappresenta la materia senza forma in quanto prende la forma del contenitore in cui la si versa.
Reuvèn è preda del proprio impeto, delle proprie passioni ed è quindi modellato dalle passioni e delle circostanze. Per questo motivo non può essere la guida della famiglia di Ya’akòv e del popolo ebraico.
Per un altro personaggio della Torà si usa l’immagine dell’acqua, Moshè, che è tratto dalle acque. Secondo il Maharàl questa rappresenta la capacità di Moshè di non farsi modellare dalla realtà in cui vive ma di essere lui stesso a darle forma. (Rav A. Arbib)
Halakhà – Digiuno del 10 di tevèt
Il digiuno del 10 di tevet cadrà venerdì 13 dicembre ed avrà inizio a Milano alle 6.51 e terminerà alle 17.21 (a Roma alle 6.17 -secondo alcuni alle 5.59- e terminerà alle 17.10).
Il 10 di tevet è l’unico digiuno che può capitare di venerdì e termina dopo l’entrata dello Shabbat, all’uscita delle stelle.
Nella tefillà di Minchà, essendo venerdì, non si recita il tachannun. Non si deve prolungare troppo la tefillà di ‘Arvit di venerdì sera, affinché si possa interrompere il digiuno all’uscita delle stelle.
Prima di mangiare, essendo venerdì sera, sarà necessario recitare il Kiddush, e si mangerà almeno un kezait (29 g.) di pane o, secondo varie opinioni, mezonot, ricordandosi della berakhà dopo avere mangiato (birkat ha-mazon o me’en shalosh) .
Se la cena si limita a quel pasto è bene farla con il pane; se invece si desidera tornare a mangiare regolarmente nell’orario serale abituale prima della cena non sarà necessario recitare nuovamente il Kiddush, a meno che non vi siano dei familiari che non lo abbiano ascoltato. (Rav A. Di Porto)