Devar Torà/ L’anno sabbatico

Parole di Torah

di Ufficio Rabbinico di Milano

4  Maggio 2013 – 24 Iyàr 5773
Parashà: Behàr-Bechukkotài
Shabbath – inizio 19.26, termine 21.19

Devar Torà
All’inizio della parashà troviamo le regole riguardanti l’anno sabbatico, shemità. La Torà ordina di lasciare riposare il campo il settimo anno, di non lavorare la terra, impone di non trarre profitto da ciò che il campo produce naturalmente nel settimo anno e regola le compravendite di terreni sulla base del Giubileo, ossia dei 7 anni sabbatici. La Torà pone una logica domanda (Levitico 25, 20): se non è consentito lavorare la terra nel settimo anno di cosa vi ciberete? La Torà stessa ci offre la risposta: “Io (D-o) disporrò che nel sesto anno la terra farà crescere prodotto sufficiente per 3 anni”; ossia, per il sesto anno, per il settimo (in cui non è permesso lavorare la terra) e per l’ottavo (anno in cui si ricomincia a lavorare la terra che dunque darà frutti solo l’anno successivo, ossia il nono). Da questi versetti si evince come il sostentamento delle persone sia esclusivamente nelle mani di Dio e non dipenda (solo) dai nostri sforzi.

A questo proposito alcuni si domandano cosa succeda nel caso in cui qualcuno decida di approfittare di questo beneficio del sesto anno: un agricoltore potrebbe decidere il sesto anno di osservare la shemità dell’anno successivo per godere della benedizione promessa da Dio di avere un raccolto ricco e abbondante sufficiente per coprire tre anni di vita. Quindi, una volta riempiti bene i magazzini, il settimo anno decide intenzionalmente di non rispettare la shemità e di lavorare il campo vendendo i prodotti a un mercato che non teme concorrenza! I Maestri ci spiegano che la benedizione divina non è una cosa oggettiva, bensì assolutamente soggettiva: a parità di buone intenzioni, ogni agricoltore potrà il sesto anno immagazzinare cibo a sufficienza per tre anni. Tuttavia, solamente colui che il settimo anno rispetterà la shemità potrà goderne i benefici, mentre colui che malauguratamente decidesse di non osservarla, vedrà i suoi prodotti deperire inesorabilmente. Da questo insegnamento possiamo facilmente dedurre come i nostri averi, anche una volta che sono effettivamente in mano nostra, sono comunque soggetti alla benedizione divina e il loro godimento dipende esclusivamente dalla nostra fede in Dio che tutto possiede e tutto dispone.
Halakhà
La regola stabilita dai Maestri in relazione al muktzè si riferisce al divieto di spostare un oggetto dalla sua posizione e non al semplice tocco dello stesso. Tuttavia, anche uno spostamento minimo o anche solamente sollevare un oggetto per poi rimetterlo immediatamente nella sua posizione originale, è considerato come violazione del divieto di muktzè. Ad esempio, è vietato toccare un oggetto muktzè di forma arrotondata (è evidente il rischio di spostamento), mentre è permesso appoggiarsi ad un veicolo in sosta (naturalmente se si è sicuri che ciò non provochi l’azionamento del sistema antifurto). Inoltre, lo spostamento dell’oggetto muktzè è vietato solo se ciò avviene in maniera usuale, ossia con le mani, come abitualmente accade. E’ invece permesso spostare un oggetto in maniera diversa da come lo si sposta normalmente, ad esempio utilizzando altre parti del corpo che non siano le mani. Alcuni fanno distinzione per ciò che riguarda lo spostamento di oggetti con i piedi, in quanto effettivamente è anche questa un’abitudine diffusa; viene per cui permesso l’utilizzo degli arti inferiori  solamente in caso di effettiva necessità.