Shemòt
21 dicembre 2013 – 18 tevèt 5774
Devar Torà
Questo Shabbat leggeremo la parashà di Shemot che inizia il secondo libro della Torà. Parashà e libro si intitolano “i nomi”: i nomi dei figli di Israele che hanno importanza non solo per identificare i personaggi ma anche in assoluto come lista di nomi. Perché l’identità della persona (e forse il suo destino) e poi quella del gruppo passa anche per la scelta dei nomi. I nomi originari li deriviamo dalla Bibbia (e non tutti erano ebraici, pensiamo a Moshè -anche se la Torà lo spiega ebraicamente- e Pinchas…), ma nell’epoca del Talmud solo alcuni di questi nomi si usavano insieme ad altri nuovi. Nello Stato d’Israele oggi si fanno statistiche sui nomi più comuni dati ai neonati; per le femmine il primo della classifica da 14 anni è il biblico No’a, seguito da Shira, Tamar, Talia, Maia, Ya’el. Ricompare ora da chissà dove Adel (come mia nonna, commenterei). Per gli uomini regna incontrastato Noam seguito da Itai, Uri, e i più classici Yosef, David, Yonathan. Dalle fonti bibliche alla fantasia del momento. Serve uno studio per le nostre comunità, non difficile da fare e che ci riserverà qualche sorpresa interessante. (Rav R. Di Segni)
Halakhà
Prima dell’inizio dello Shabbat è permesso iniziare un lavoro che si concluderà automaticamente di Shabbat, senza la necessità di ulteriori interventi. L’uso degli Ashkenaziti, a meno che la mancata esecuzione del lavoro comporti una perdita economica, è di essere rigorosi quando il lavoro automatico è rumoroso (ad esempio una lavatrice in funzione), o quando si possa sospettare che l’attività sia stata svolta direttamente di Shabbat. (Shemiràt Shabbat kehilkhatàh 42,43). (Rav A. Di Porto)