Il periodo tra la festa di Pessach e quella di Shavu’ot è il tempo della Sefirà, il conteggio. Abbiamo una specifica di mizwà di contare i giorni e le settimane che intercorrono tra il giorno dell’Esodo dall’Egitto, cioè da quello della liberazione dalla schiavitù e continuiamo per quarantanove giorni, al cui termine celebriamo la festa per il Matan Torà, il Dono della Torà, che segna l’apice della redenzione.
Quando si conta o si misura qualche cosa, lo si fa allo scopo di accertarne il numero o le dimensioni, che possono variare. Il censimento della popolazione, per esempio, viene ripetuto di tanto in tanto nella Torà, dato che il numero delle persone può aumentare o diminuire. Analoghe rilevazioni statistiche si fanno per altri fenomeni che possono subire cambiamenti. Se questo non si verificasse, non ci sarebbe, infatti, alcuna ragione di compiere controlli periodici.
L’uomo non ha alcune facoltà di influire sul tempo o di cambiarne il corso, poiché esso scorre con un ritmo ineluttabile. Non possiamo rallentare o accelerare il trascorrere del tempo e neppure influire sul risultato delle sue misurazioni e fare, per esempio, in modo che un’ora duri più o meno di sessanta minuti.
Detto ciò, a quale scopo contiamo dei giorni, recitando un’apposita berakhà?
Una prima risposta si trova nel desiderio del Popolo d’Israele di raggiungere la meta del Monte Sinai per ricevere la Rivelazione Divina; una meta tanto agognata da comportare il conteggio dei giorni che trascorrevano. Ma questa risposta non è sufficiente a giustificare la mizwà che abbiamo ancora oggi e che si compie, come detto, recitando un’apposita berakhà.
Che il tempo sia immutabile e che non abbiamo alcun potere di modificarlo, è un dato di fatto. Ciò è vero comunque solo in parte. In realtà le possibilità di raggiungere i propri fini, grazie al tempo che ciascun individuo ha a disposizione, non sono soggette ad alcuna limitazione. Mentre è limitata l’influenza che l’uomo ha sulle cose materiali proprie al mondo che lo circonda, sul tempo egli può esercitare un influsso senza limiti. Il tempo, infatti, è come un recipiente assai elastico, che ha una capienza pressoché infinita. Esso ha la possibilità di dilatarsi o di restringersi e ciò dipende da quello che noi stessi versiamo nel recipiente: può essere poco oppure molto. La capienza del nostro tempo può essere sfruttata senza limiti, oppure può venire lasciata completamente inutilizzata. La stessa unità di tempo può valere, per alcuni tra noi, un’eternità, mentre può ridursi a zero per altri.
La vera misura del tempo non è la sua quantità, ma ciò che si riesce a compiere nell’arco della sua durata; la qualità.
È vero che non possiamo influire sul corso del tempo e nemmeno accorciarlo, tuttavia il Conteggio dello ‘Omer ci insegna che ogni unità di tempo, per quanto breve, perfino un solo giorno offre possibilità illimitate. Sebbene la vita umana sia contenuta nell’arco di un determinato numero di anni, la si può impiegare in infiniti modi e non è posto alcun limite a ciò che possiamo compiere durante gli anni della nostra vita.
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