di Daniele Cohenca
La Parashà di Beshallàch, che leggiamo questa settimana, ci narra di come gli ebrei, finalmente fuggiti dal faraone, guardino dietro le loro spalle per vedere gli egiziani che li rincorrono numerosi ed armati fino ai denti: nel cammino verso la libertà promessa, dovranno assistere alla divisone della acque del mare prima di procedere verso il monte Sinai.
Gli ebrei dell’epoca e noi stessi oggi, facciamo fatica a capire cosa sia successo; non avevano tutti visto il faraone alzarsi in piena notte implorando agli ebrei di andarsene il più velocemente possibile? Non avevano tutti assistito all’umiliazione di ciò che gli egizi credevano fossero i loro dei?
I maestri della Chassidut spiegano che ci sono in realtà due fasi distinte che portano l’uomo verso la libertà; queste due fasi sono rappresentate da ciò che accadde all’epoca quando gli ebrei dovettero assistere alla prima fase, quella in Egitto e alla seconda, quella davanti al mare; ed è per questo che festeggiamo oggi i primi e gli ultimi giorni di Pésach.
Oltre alle due fasi che portano alla libertà, esistono anche due tipi di schiavitù; una schiavitù può essere rappresentata da imposizioni esterne come le catene che impediscono i movimenti o un capufficio prepotente. Poi c’è la schiavitù interna che arriva da noi stessi, dalla nostra vanità, dalla nostra pigrizia, dai nostri limiti.
È molto facile sentirsi liberi quando riusciamo a superare le imposizioni esterne, quando vengono rotte le catene o quando troviamo un lavoro migliore. È però davvero sorprendentemente impressionante vedere il faraone che ci insegue dopo che finalmente siamo riusciti a scappare dall’Egitto. Ma il faraone che si avvicina a noi nel deserto non è il re dell’Egitto da cui siamo scappati, ma è il faraone che ci siamo portati fuori dall’Egitto con noi.
Liberarsi da imposizioni esterne non sempre è facile, ma spesso può anche non dipendere esclusivamente da noi. Liberarsi dai nostri limiti, da ciò che è dentro di noi è ancora più difficile, ma dipende esclusivamente da noi stessi.
Per scappare dall’Egitto è stato “sufficiente” piegare il faraone e sovvertire gli dei degli Egizi. Ma per far uscire l’Egitto che è dentro di noi, dobbiamo “spaccare le acque”, penetrare nel profondo del nostro essere per capire chi e cosa siamo e cercare la verità dentro di noi.