di Daniele Cohenca
Il Sabato che precede il 9 di Av coincide sempre con la Parashà di Devarìm, che apre l’omonimo quinto ed ultimo Libro del Pentateuco. Il passo dei Profeti associato a questo Shabbàt è quello di Isaia che inizia con “la visione di Isaia figlio di Amòtz” e da qui il nome che prende lo Shabbàt prima del 9 di Av, chiamato Shabbàt Chazòn, il “Sabato della Visione”. Questo passo dei Profeti è il terzo della serie delle 3 Haftaròt “di distruzione” che appunto precedono il giorno nefasto del 9 di Av.
Cerchiamo però di mettere un po’ di ordine: quale potrebbe essere la relazione tra il Libro di Devarìm, Shabbàt Hazòn e il 9 di Av? Per cercare una risposta, proviamo ad addentrarci nel Libro di Devarìm stesso.
Questo Libro si chiama anche Mishneh Torah – “ripetizione della Torah”; qui, infatti, Mosè parla direttamente al popolo ebraico, alla generazione che finalmente si appresta ad entrare in Terra d’Israele, ricordando loro i principali eventi e leggi che sono registrati negli altri quattro libri della Torah, ammonendoli sulle colpe dei loro predecessori ed esortandoli a seguire la via del Signore, che sarà quella che permetterà loro di vivere in pace nella Terra Promessa. Per quale motivo Mosè sente il bisogno di questa ripetizione? Per quale motivo la ritiene così importante da dedicarle gli ultimi giorni della sua vita?
La risposta è insita in ciò che Mosè ha rappresentato – e probabilmente rappresenta tuttora – per il Popolo Ebraico e nella sua profonda dedizione non solo alla generazione che egli guidò fuori dall’Egitto ma anche a coloro che meriteranno di entrare in Terra d’Israele, cosa peraltro che a Mosè stesso viene impedita.
Mosè ha sicuramente rappresentato il passato ed il presente per coloro che lo hanno conosciuto (ma non solo); tuttavia negli ultimi giorni della sua vita, egli decide di dedicarsi al futuro e lo fa attraverso gli insegnamenti e gli ammonimenti. In altre parole, Mosè il nostro Maestro si dedica all’educazione.
Già, quindi, oltre tremila anni fa, Mosè sapeva che la strada migliore per assicurare un futuro ebraico al suo popolo, doveva passare attraverso l’educazione ebraica. Il messaggio che Mosè lascia è che i valori dell’ebraismo ci arricchiscono; ci forniscono basi morali che molti oggi ci invidiano, spessore spirituale e uno scopo. Come Mosè stesso dice nella Parashà di Devarìm, questi valori ci collegano a migliaia di anni di tradizione che risalgono al Monte Sinai, quando Dio diede la Torah al popolo ebraico, se non addirittura ai nostri Patriarchi.
Forse Mosè trascorse i suoi ultimi giorni sulla terra ripetendo le lezioni che aveva già insegnato per sottolineare l’importanza dell’istruzione.
Il libro di Devarìm, dunque, parla del futuro e lo fa attraverso il principio fondamentale dell’educazione ebraica; la “visione” di cui parla la Haftarà di questo Shabbàt è anch’essa ricca di ammonimenti (con evidente parallelismo al contenuto della Parashà e di tutto il libro di Devarìm) e si riferisce al futuro – purtroppo nefasto – che vivranno la Giudea e Gerusalemme; il 9 di Av, il giorno più triste del calendario ebraico, è destinato a trasformarsi nel giorno invece più gioioso dell’anno.
Mosè ci ha lasciato un testamento molto chiaro: per andare avanti non è sufficiente basarsi sul passato e la sua storia (da cui – sia chiaro – non dobbiamo separarci); piuttosto, per garantire il futuro del popolo ebraico, dobbiamo assicurarci che la prossima generazione rimanga connessa alla propria eredità e comprenda la profondità e la ricchezza che l’ebraismo ha da offrire. La chiave di accesso è l’educazione ebraica: il futuro è nelle nostre mani e se lo sapremo gestire al meglio, il 9 di Av si trasformerà presto in gioia e felicità.
Amèn