A Sukkot, siate felici!

Parole di Torah

di Daniele Cohenca

sukkotSiamo a poche ore dalla festa di Sukkot, nota anche come festa delle capanne; questa ricorrenza ha delle caratteristiche uniche nel calendario ebraico ed analizzando alcune di esse possiamo cogliere alcuni significati profondi che vanno al di là di quello che Sukkòt notoriamente rappresenta per tutti noi.

Innanzitutto è l’unica ricorrenza per la quale la Torà ordina di essere “particolarmente gioiosi” (Deut. 15,15).

In secondo luogo, la posizione della festa nel calendario ebraico merita un’analisi: Sukkòt ricorda le capanne e/o le nuvole che hanno protetto per 40 anni i pellegrinaggi dei figli d’Israele (TB Sukkà 11b). Per quale motivo dunque festeggiamo Sukkòt proprio a Tishrì e non ad esempio subito dopo Pesach? Già 3 giorni dopo l’uscita dall’Egitto si ha la menzione delle Sukkot (Es. 13,20)! O perché non in estate o addirittura in inverno?

La risposta è una per entrambi i quesiti.

La felicità non è un’entità misurabile; si tratta di un’emozione molto intima e altamente soggettiva; alcuni possono gioire per eventi o situazioni di fronte alle quali altri sono assolutamente indifferenti.

Vi sono naturalmente occasioni di gioia comune e condivisa, che sono quelle che ci rendono più lieti. Ma nessuno ci può imporre di essere felici… Eppure Dio lo fa.

Il concetto umano di felicità non è necessariamente uguale o conforme a quello Superiore concepito da Dio; quando parliamo del rapporto unico ed individuale tra Dio ed il Suo popolo, dobbiamo relazionarci con qualcosa che va molto oltre le nostre limitate capacità; da parte di Dio invece, che non ha nessun limite, questo rapporto è “vissuto” in maniera assolutamente pura, non inquinata da ostacoli fisici e materiali.

C’è un periodo dell’anno di 40 giorni durante i quali l’ebreo ha la possibilità e l’opportunità di liberarsi degli effetti inquinanti del mondo fisico in cui viviamo e di assurgere ad un rapporto verticale di puro amore verso Dio. Questo periodo inizia il capo mese di Elul, passa attraverso Rosh Hashanà e culmina con il giorno di Kippur: in questo giorno unico in cui tutti gli ebrei del mondo, anche solo per pochi minuti, si raccolgono di fronte alla Divinità, ci è assicurato il Perdono per i nostri errori e riusciamo a liberarci completamente dai vincoli materiali cui tanto siamo legati. Questo porta ad un livello di gioia e felicità talmente intimi e profondi che non riusciamo nemmeno a percepirli… Ma Dio li percepisce.

Il dovere di gioire durante la festa di Sukkòt non è più allora l’imposizione di un sentimento impossibile, ma ci indica la via per guardare dentro noi stessi e ritrovare la vera felicità che il rapporto con Dio comporta.

La Torà avrebbe potuto fissare la festa di Sukkòt in un qualsiasi mese dell’anno, ma non avrebbe potuto ordinarci di essere “particolarmente felici”; questo è possibile solo dopo il giorno di Kippùr, solo dopo che abbiamo sollevato il sipario che separa i nostri cuori dall’amore per Dio.