di Daniele Cohenca
Tu Bishvat viene da sempre chiamato capodanno degli alberi. Ma il concetto di capodanno si rispecchia particolarmente negli essere umani; e allora perché i Testi sacri ci impongono la celebrazione e il tradizionale assaggio delle sette specie della Terra d’Israele, enfatizzando la festa proprio con il nome di “capodanno degli alberi”?
Il celebre versetto “Ki haadam etz hassadé – Perché l’uomo è come un albero del campo” (Numeri 20:19) ci fornisce la risposta: oltre al messaggio evidentemente ecologico che traspare dal versetto, dobbiamo cercare di cogliere gli elementi comuni: l’albero, solidamente radicato alla terra, da cui trae il nutrimento, si sviluppa armoniosamente fino a produrre frutti che una volta consumati dall’uomo gli procureranno il senso del “piacere” e della “delizia”.
Questo è in realtà solo uno dei tratti dell’essere umano il cui sviluppo spirituale, intellettuale e morale si basa in principio solo sulla robustezza delle sue radici e sulla qualità del “suolo” in cui sono fissate. Così come l’albero non avrà futuro se non avrà radici solide nel terreno, non darà frutti se non viene curato e protetto, non ci può essere un futuro per l’essere umano senza un passato solido di tradizioni e di fede, né senza una continua attenzione al suo sviluppo individuale e nelle società. Inoltre, l’albero raggiunge la perfezione tramite i suoi frutti che sono lo scopo della sua stessa esistenza e ne sono l’incoronamento.
La vita dell’uomo è paragonabile a quella dell’albero, in quanto la vita umana assume un senso se è promettente, prolifica e creatrice di un futuro, di messaggi e valori che l’uomo sarà in grado di tramandare ai discendenti, i quali potranno a loro volta godere anch’essi delle “delizie”, morali e spirituali che gli sono state lasciate.
Nella società moderna non è un compito facile: tracciare dei limiti entro quali muoversi, come quelli della Torà e delle Mizvot, mantenendo allo stesso tempo relazioni sociali di ampio spettro è compito arduo. A questo proposito, recita la Mishnà (Pirqè Avòt Cap. 3 Mishnà 24): Egli affermava: colui, la cui sapienza supera e sue azioni, a che cosa si puo’ paragonare? Ad un albero i cui rami sono numerosi, ma ha poche radici; viene un vento, lo sradica e lo rovescia; secondo quanto e’ detto: egli sarà come un arbusto in mezzo alla steppa e neppure si accorgerà quando verrà il bel tempo; avrà per dimora le aridità del deserto, la terra salsa non abitabile (Geremia, 17 6). Invece colui le cui opere superano la sua sapienza, a che cosa si può paragonare? Ad un albero che ha pochi rami ma abbondanti radici, che anche se dovessero soffiargli contro tutti i venti del mondo, non riuscirebbero a smuoverlo dal suo posto, secondo quanto e’ scritto: egli sarà come un albero piantato vicino all’acqua, che dirama le radici presso un ruscello; esso non si accorgerà neppure quando giungerà la stagione calda, le sue foglie rimarranno verdi e non avrà da preoccuparsi della stagione di siccità, perché invece continuerà a dare frutti (Geremia, 17,8).
Come l’albero, l’uomo è una creatura che si coltiva, le cure e le premure che le si prodigano agevoleranno la piena espressione della sua potenzialità. E tutto ciò comincia dall’educazione che gli verrà proposta.