di Daniele Cohenca
È davvero possibile nella realtà quotidiana rimanere attaccati a D-o, o è solo un’utopia – per quanto auspicabile – in un mondo come il nostro?
È davvero possibile vivere una vita sociale, avere un lavoro, gestire una famiglia, confrontarsi con problemi ed ostacoli che ogni giorno si piazzano come macigni sul nostro cammino e con tutto ciò rimanere attaccati alla Divinità senza dubbi o incertezze?
La storia di Yosèf che la Torà ci racconta questa settimana, è un chiaro esempio di come ciò sia più che possibile. Yosèf rischiò di essere ucciso e quindi fu venduto dai propri fratelli per motivi di profonda invidia familiare, finì per essere acquistato come schiavo, fu mandato in prigione ingiustamente, dovette resistere a tentazioni molto forti eppure, quasi al culmine della sua “carriera”, quando era nella casa di Potìfar, “primo ministro” del potente faraone d’Egitto, la Torà ci dice che “D-o era con Yosèf…” (Genesi 39:21).
Nonostante le crescenti difficoltà che egli incontrò sul suo già rischioso cammino involontario, nonostante le incredibili vicissitudini di questa parte della sua vita, la Torà ci sottolinea come fosse evidente, perfino agli occhi di Potìfar, il fatto che Yosèf fosse integro nel suo rapporto con D-o, fino al punto che D-o stesso “era con lui”. Fu poi proprio questa sua caratteristica innata che lo portò in breve tempo a divenire viceré in Egitto e successivamente permise alla famiglia di Yacòv di trasferirsi laggiù salvandosi da una pesante carestia che aveva colpito tutto il Medio Oriente.